Il sonno della Turchia nelle parole di una giovane voce di Istanbul


-La mia Turchia non riesce ad aprire gli occhi sui 'diversi'-. Così parla Sebnem Isiguzel, voce controcorrente della narrativa turca nel suo nuovo romanzo:




EDERA


Dopo Copulk, arriva anche in Italia Edera, in cui la 35enne autrice turca Sebnem Isiguzel descrive con tono claustrofobico la borghesia di Istanbul.


Al centro della storia due 'malati': Ali, ritrattista affetto da una sindrome che non gli permette più di distinguere i colori, e Salim, primo scrittore turco a vincere il Nobel, ora incapace di riconoscere le lettere. Ali Ferah e Salim Abidin hanno sessant’anni, sono apparentemente estranei l’uno all’altro, ma condividono la tragedia di un apatologia che, per una sorte di beffa, li spoglia della loro arte. Un male implacabile e surreale a cui si intreccia, per una tragica fatalità, la morte misteriosa di una giovane donna, una nuotatrice russa giunta a Istanbul per seguire la sorella Ludmilla e finita poi, tragicamente, in fondo al Bosforo. Il mistero legato al suo omicidio e all’identità del suo assassino resta in sospeso fino all’ultima pagina, ma diviene l’occasione per una catena d’incontri da parte di Ali con Oleg Starov, un restauratore russo in cerca di fortuna, con Sedef, la sua giovane vicina in attesa di un bambino, con Celine, una collega parigina tornata da poco in città per chiudere i conti con un amante che le ha distrutto la vita.
Come l’edera a un muro che la sostenga, queste storie s’intrecciano lungo la trama di altre esistenze togliendo loro il respiro: una rete di relazioni che troverà in Istanbul, crocevia di culture per antonomasia, la sua cornice ideale.


Ma una città che, nella descrizione dell'autrice, non sa confrontarsi con i diversi, in questo caso con gli immigrati dall'Europa dell'Est. I personaggi del libro sembrano essere tutti immensamente soli, senza possibilità di amare o essere felici, separati dal loro ceto sociale e con una grande paura della morte. Sono quasi tutti immigrati, le cui disgrazie vengono considerate normali dai turchi, ed è proprio questo senso di normalità che rivela il sonno della città di cui parla l'autrice: un sonno che fa considerare eresia ogni religione o cultura in qualche modo diverse dalla propria.


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